Da ragazza yè yè a nonna passando dal club Greffa
Nadia Bonafini, dal matrimonio, nonna e volontaria
Questa è la storia di una tranquilla ragazza di paese che aiuta in bottega i genitori, che nel giro di poco tempo nei primi Anni Sessanta, arriva a guidare un club musicale con circa 400 iscritti. La storia del Bar Bonafini e della Greffa, la compagnia che vi fece base per quattro-cinque anni, ce la racconta quella ragazza, Nadia Bonafini (nella foto con il marito Franco Piola). «Il bar fu aperto alla fine degli anni Cinquanta, quando mio padre e mia madre pensarono di allargare e diversificare l’attività di salumeria rilevata qualche anno prima – ricorda Nadia –. Prima il locale funzionò come circolo per i combattenti e reduci, tanto che facevamo le feste in occasione del 4 Novembre con la banda che suonava “Il Piave”. Poi i miei fratelli Radames, Sergio e Silvano pensarono di indirizzare l’attività del locale al segmento di popolazione giovanile, attirando per primi le loro compagnie che si chiamavano “La dolce vita” e “I magnifici sette”».
«Era il 1962, molta gente si radunava per vedere la televisione che non c’era in tutte le case. Comprammo il calcetto e il biliardo che furono installati nelle sale al piano superiore del bar – continua Nadia –. In quegli anni circolava un giornale dedicato al mondo della canzone che si chiamava Tuttomusica dove lessi che cercavano persone che rilevassero i gusti dei giovani in tema musicale e le vendite dei dischi. Rispondendo a questa ricerca presi contatto con il mondo della musica e dei cantanti. Su Tuttomusica lessi anche un appello di Rita Pavone che sollecitava la costituzione in tutta Italia di club dove i giovani si aggregassero» prosegue Nadia Bonafini. «Mi sembrò un appello da raccogliere, ne parlai con i miei fratelli e così nacque la sezione lupatotina del club “La Greffa”, che aveva sedi anche in molte altre città e paesi d’Italia».
La Greffa aveva uno scopo ben preciso: organizzare manifestazioni musicali riservate ai giovani e alla musica leggera. «Le case discografiche ci mandavano le prime copie dei dischi e i manifesti dei cantanti per saggiare il gradimento da parte del pubblico e creare interesse verso gli artisti che loro avevano in scuderia – ricorda ancora Nadia Bonafini –. Noi cominciammo a contattare direttamente i cantanti invitandoli ad esibirsi a San Giovanni Lupatoto. A quel tempo non c’erano molte formalità da rispettare, non esistevano gli agenti e spesso le esibizioni neppure si pagavano, in particolare se il cantante era relativamente noto. Si parlava direttamente con l’artista, si concordava la data della serata pattuendo solo il rimborso per le spese di viaggio sostenute e il pranzo dopo l’esibizione». Gli spettacoli non si svolgevano nel bar Bonafini ma nei saloni del bar Lucerna, in via Garofoli, assai più capienti. Lì arrivarono i cantanti Dino, Claudio Lippi e Michele accompagnati dai loro gruppi. Si esibirono a più riprese anche i Nomadi (nella foto in basso e con I Rokes), i Menphis, i Tornados e i Condors. «Il legame che si instaurava con gli artisti era genuino. Lo stesso Giorgio Gaber, al Ristori di Verona per uno spettacolo, venne fino alla Lucerna a San Giovanni Lupatoto per partecipare ad una festa organizzata dalla Greffa» riferisce ancora Nadia che ricorda ancora come nel 1967 uno screzio con il parroco pose di fatto fine alla sarabanda della Greffa.
Qualche anno dopo Nadia conosce casualmente in stazione a Verona un militare di servizio in città, Franco Piola, torinese, destinato a diventare suo futuro marito e padre delle due figlie (una delle quali oggi vive a Londra ed ha a sua volta due figli e l’altra, pure con due figli, vive a San Giovanni). Mentre crescono la prole, Nadia e Franca decidono di dare vita alla associazione di assistenza rivolta alle persone fragili “Per un amico in più”, assistiti da don Leone Porra, e successivamente entrano nella ProLoco lupatotina risollevandone le sorti. Di lì al Comitato per il Carnevale benefico locale, il passo è breve e la coppia regge per 12 anni il carnevale. «Adesso faccio la nonna a tempo parziale» conclude Nadia.
Renzo Gastaldo